inserito da Claudia, 15/09/2013 22:03:47
Lectio divina sul senso della rinuncia, sul mettere Dio al primo posto. A cura di Vito Cassone
In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro: «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i
figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo. Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”. Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace. Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».
Gesù è in viaggio verso Gerusalemme, dove lo attende la croce. Questo viaggio non ha un senso puramente geografico. Ma simboleggia il cammino di obbedienza e fedeltà al Padre che Gesù percorre e insieme il cammino dei discepoli chiamati a condividere la sua scelta di vita. Però seguire Gesù, essere suoi discepoli può apparire cosa desiderabile; ma certo non è cosa facile. Perché il desiderio immediato diventi autentica decisione, è necessaria una grande lucidità e determinazione. Proprio a questa lucidità vuole condurci il Vangelo di questa domenica, richiamando con chiarezza estrema le condizioni irrinunciabili per un’autentica sequela: « Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo » (Lc 14, 33). Ma partiamo dalle due similitudini che vogliono metterci in allerta. Costruire una torre è azione che richiede uno sforzo prolungato nel tempo, con l’impiego di mezzi abbondanti;
combattere una guerra è azione di forza che richiede d’approntare una strategia attenta. Nell’uno come nell’altro caso una decisione che voglia essere saggia deve prendere in considerazione fin dall’inizio gli ostacoli che presumibilmente s’incontreranno. Vuoi costruire: hai calcolato quale sarà la spesa? e hai a tua disposizione la somma necessaria? Vuoi fare guerra: hai considerato la forza del tuo nemico? e puoi contare su un esercito almeno equivalente? Vuoi diventare discepolo di Gesù: hai pensato bene quali rinunce il discepolato esige? e sei disposto ad accettarle? Fin qui il discorso è ben chiaro. Ma, in concreto: quali sono le rinunce effettive che bisogna accettare? Tutto! Questa è l’affermazione sorprendente. Sappiamo bene che qualsiasi scelta l’uomo faccia, ha un prezzo che comporta inevitabilmente un sacrificio. Ma si tratta del sacrificio di qualcosa; qui, invece, viene chiesto il sacrificio di tutto! Le parole di Gesù sono così chiare, così ripetute che non rimane dubbio. Bisogna rinunciare «a tutti i propri averi»; la precedente traduzione della Bibbia usava il verbo «odiare». Chi? Il padre, la madre, figli, fratelli, sorelle e perfino la propria vita. “Odiare” significa, in questo caso, “amare meno” -secondo la nuova traduzione-. La richiesta di Gesù allora, si colloca non al livello emotivo, del sentimento ma a quello delle scelte. Non ci viene chiesto di sentire meno affetto per la nostra vita che per Gesù Cristo. Ci viene chiesto di mettere Gesù prima di tutto il resto nel caso ci venga proposta una scelta effettiva. Ci viene chiesto di amare in modo nuovo. Può accadere, difatti, che il valore-Gesù si scontri, in un caso preciso col valore-famiglia. In questo caso ciascuno è posto davanti a un bivio: che cosa scegli? Sei così attaccato alla tua famiglia da rinnegare la fede? o sei così attaccato alla fede da abbandonare la famiglia? Sei così attaccato alla vita da disobbedire a Dio? o sei così attaccato a Dio da sacrificare la vita? Con tutte le spiegazioni possibili, perciò, le parole di Gesù rimangono paradossali; esse attribuiscono al
discepolato la radicalità che l’Antico Testamento riconosceva all’obbedienza verso Dio. La fede ci pone in rapporto con Dio. In questo caso non ci può essere dubbio: bisogna amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze. Se Dio è Dio, l’unica misura adeguata del dono dell’uomo è: tutto. Ogni riserva, diminuzione, esitazione dimostrano un difetto di fede. Ebbene, questo ragionamento si applica perfettamente alla valutazione della sequela: nella sequela di Gesù si gioca davvero il nostro rapporto con Dio? Se riteniamo di sì, la conclusione e inevitabile: alla sequela dobbiamo sacrificare tutto. Se esitiamo o “relativizziamo” il valore della sequela, non potremo più comprenderne e accettarne le esigenze. « Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo » Lc 14, 27). Si può discutere su quale fosse il primitivo senso di queste parole; ma il senso che esse hanno nel Vangelo non è equivoco. La “croce” parla ormai, a un cristiano, col linguaggio chiarissimo della passione di Cristo. Portare la croce vorrà dire tutto questo: accettare la sofferenza, la persecuzione, l’emarginazione, la morte pur di rimanere fedeli al Vangelo, pur di poterlo annunciare con fedeltà. Se interpretate negativamente le parole del vangelo di questa domenica sono pericolose. L'accento va posto sul verbo principale: diventare discepolo; il centro focale delle frasi non è sulla rinuncia, ma sulla conquista; la vita è caratterizzata dal raggiungimento appassionato dei sogni. E nella vita s’impara se non ciò che si ama. Quindi la vita dell’uomo diventa, anzi si trasforma in ciò che ama e ciò che contempla con gli occhi del cuore. Fissando lo sguardo su Cristo, diventa un uomo completo forse un frammento di luce dentro le vene oscure del mondo. Buona domenica.